Marklin durante la seconda guerra mondiale, un racconto

Era l’anno 1944 e la Seconda Guerra Mondiale aveva già seminato, in varie parti del mondo,  un oceano di disperazione e di angoscia. Per chi viveva in quel periodo da dimenticare o, meglio, ricordare  come monito a  tutta l’umanità, era difficile trovare un attimo per un sorriso o un momento di serena distensione. Nei miei ricordi di allora,  alle soglie della vita che si presentava incerta e piena di affanni anche agli adolescenti,  Marklin seppe fare un prodigio, offrendomi, di tanto in tanto, uno spiraglio di fanciullesca e trepida felicità. Vivevamo a Venezia, profughi dai Balcani con la speranza di trovare nella Laguna un cantuccio di maggiore tranquillità, lontani dagli orrori che avevamo  fino allora vissuti. In effetti  Venezia  non fu toccata, se non marginalmente, dalle distruzioni  che non risparmiarono invece i suoi non lontani e splendidi dintorni.  Ma a Venezia, anche le ali di una farfalla creano vibrazioni sonore  e spesso si percepisce la sensazione che  intorno a te ci sia qualcosa che sta per crollare. Ben diverso era l’effetto  su  persone e cose provocato dall’esplosione delle bombe che, pur risparmiando  il cuore della città, colpivano con furioso fragore le zone vicine, trasformando  opere centenarie in un mare di rovine. Nella vita quotidiana di allora è comprensibile che, ai primi accenni di bombardamento aereo spesso preannunziato dal lacerante suono delle sirene, si verificasse un fuggi –fuggi  generale, alla ricerca, non si sa bene quale, di un riparo  il più sicuro possibile. All’inizio delle Mercerie, famosa  calle densa di scintillanti ed eleganti  negozi, c’era all’epoca la Profumeria “Linetti” dove, nonostante la guerra con le sue rinunzie, potevi  trovare un costoso  Chanel  o un giocattolo di assoluto prestigio,  quale un trenino elettrico Marklin  appartenente  a un mondo  decisamente milionario, irraggiungibile alla stragrande maggioranza dei fanciulli di allora. Antico plastico Marklin Ma  l’eterna ingiustizia  per chi non può permettersi  ciò  che è consentito a pochi eletti  non riesce a soffocare  la trepida speranza  per ottenere un giorno quello  che oggi ti viene negato. Ecco così che il sogno, mentre appannavo la vetrina col mio fiato, diventava per me realtà  e, se non riuscivo a toccare quei vagoncini  che correvano su  un lungo  binario trainati da una potente locomotiva non me ne dolevo perché,  anche sfiorandoli con la mia mano tremante per l’emozione,  avrei avuto paura di sciuparli. Intanto, intorno a me non c’era più nessuno. Tutti i passanti erano fuggiti un po’ qua e un po’ là, mentre  il fragore delle bombe faceva tremare le calli e i campielli e sembrava che la terra  volesse  aprirsi sotto di noi.  Ma la magia di quei momenti di estatica contemplazione per quel trenino dietro la vetrina aveva  cancellato nei miei occhi e nella mia mente ogni traccia di quanto stava avvenendo. Ed io rimanevo là, non so per quanto tempo mentre il treno girava illuminato da mille luci che non avevano voluto, in suo omaggio, spegnersi. E in quel lontano 1944 questo incanto avvenne molte volte. Un racconto dell'Ing. A. Febraro

1 Risposta

  1. Italo Moretti
    Il racconto mi ha riportato con piacere a sensazioni simili, provate più o meno in quegli anni! Grazie.

Lascia un commento